Intervento di Guglielmo Castagnetti/Si allarga il dibattito aperto da Santoro

"Pronto a collaborare all’ipotesi liberaldemocratica"

E’ necessario evitare all’Italia qualsiasi deriva integralista e populista

di Guglielmo Castagnetti

A sinistra se li chiamano comunisti o democristiani o radicali si offendono; a destra guai a definirli populisti, conservatori o integralisti: tutti si definiscono liberaldemocratici e pretendono di esser così chiamati. Basterebbe questo per apprezzare l’appello di Italico Santoro a dar vita ad un soggetto politico che sia qualcosa di più di un superficiale artificio nominalistico: una omogenea proposta programmatica e la proiezione politica di una cultura e di una morale civile.

Cultura morale e civile che, dobbiamo esserne consapevoli, è minoritaria nel paese, oggi più che mai compressa fra gli eredi di una visione livellatrice statalistica e dirigistica e il perenne egoismo anarcoide di chi vuole ridurre e marginalizzare stato e pubblici poteri, semplicemente per poter fare più agevolmente i propri comodi.

E tuttavia, per quanto la schiera dei liberaldemocratici camuffati sia ampia e agguerrita, la storia non si ferma e il moltiplicarsi delle necessità sotto la spinta di rivolgimenti e fenomeni planetari lascia poco spazio alle pretese di caste e corporazioni e alle tradizionali ricette dell’assistenzialismo e del ripiegamento localistico.

Né possiamo considerare adeguati gli sporadici segni di resipiscenza che da destra e da sinistra ogni tanto trapelano. La maggioranza riscopre finalmente il nucleare e depone le armi alemanniane contro gli Ogm, ma non si sogna neppure di liberare la scienza e la ricerca dall’ invadenza clericale e dalle pesanti limitazioni che ne impediscono l’operatività. Per non parlare poi del patetico balletto sugli aiuti di stato ad Alitalia e dei grotteschi riti celtici celebrati dalla Lega contro l’Europa. E a sinistra, ad un Fioroni che propone il potenziamento degli studi scientifici, il ripristino del merito e il valore della selezione o a Bersani che abbozza un timido progetto di liberalizzazioni replicano prontamente i tutori ufficiali della solidarietà, le corporazioni e i sindacati pronti a tutto pur di difendere l’articolo 18, le pensioni così come sono, i contratti collettivi etc etc.

Il paese necessita invece di un progetto liberaldemocratico organico e omogeneo, senza contraddizioni e senza opportunistiche omissioni; non per governare da solo il paese (questo almeno per ora non è possibile), ma per costringere l’intero arco delle forze politiche a confrontare le proprie scelte con le indicazioni e le eventuali critiche suggerite dal metodo liberale e dagli impulsi modernizzatori del paese. E se fino a ieri l’autonomia di un soggetto politico di tal fatta era improponibile per un meccanismo elettorale che costringeva a stare in uno dei due schieramenti, che obbligava ad una scelta di campo al di là delle omogeneità e persino delle compatibilità, oggi grazie allo strappo di Veltroni e alla sua rottura con la sinistra radicale, un’identità liberaldemocratica non solo è possibile ma è necessaria. Anche per evitare che la maggioranza si identifichi con le sue componenti integraliste e populiste.

E non ho dubbi sul fatto che il motore e il lievito di questa nuova realtà sia il PRI che, nei sessant’anni di vita repubblicana, per dirsi liberaldemocratico non ha mai dovuto escogitare nessun travestimento ma semplicemente ha affermato con orgoglio la propria identità.